Gian Paolo Ranocchi commenta su Il Sole 24 Ore gli ultimi chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate sull’assegnazione agevol

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Nell’ articolo de Il Sole 24 Ore vengono commentate le criticità in tema di assegnazioni agevolate, in vista dell’imminente scadenza del 30 settembre. L’Agenzia delle Entrate ha diramato una serie di chiarimenti che si vanno ad aggiungere ai numerosi contributi di prassi dei mesi precedenti. Con tre risoluzioni in sequenza (nn. 98/E/2017, 99/E/2017 e 100/E/2017) l’Agenzia ha esaminato una serie di aspetti critici di estrema rilevanza fornendo il proprio punto di vista.

INQUADRAMENTO IN SINTESI 

La Legge di stabilità 2017 ha riaperto i termini che erano scaduti lo scorso 30 settembre 2016 per accedere alle assegnazioni, alle cessioni o alle trasformazioni agevolate. Si tratta di una mera riapertura per cui il contesto normativo in cui la nuova finestra temporale si colloca è rimasto invariato facendo riferimento all’articolo 1, commi da 115 a 120, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.  L’opportunità è ghiotta perché le regole che governano la fiscalità speciale per chi si avvale, avendone i requisiti previsti dalla Legge, di una delle operazioni agevolate, consegnano sul fronte delle imposte dirette e delle indirette diverse dall’IVA, notevoli vantaggi in termini impositivi. La convenienza che caratterizza le operazioni agevolate si sostanzia in una serie di motivi. In primis una tassazione del reddito realizzato con un’imposta sostitutiva molto ridotta (8% o 10,50% per le società di comodo) rispetto a quella ordinaria e che assolve agli obblighi fiscali non solo della società ma anche dei soci. In seconda battuta va evidenziata la riduzione del 50% dell’imposta di registro dovuta sui trasferimenti immobiliari e la possibilità di applicare le imposte ipo-catastali in misura fissa. Nell’ambito delle assegnazioni ai soci e delle trasformazioni della società in società semplice, è inoltre di fondamentale rilevanza la possibilità di poter determinare, ai fini fiscali, il valore dell’immobile nel dato che scaturisce con il cd. valore catastale rivalutato. E ciò anche in relazione alla determinazione dell’eventuale reddito tassabile in capo ai soci (dividendi se si tratta di un’assegnazione effettuata da una società di capitali attingendo a riserve di utili, o cosiddetto “sottozero” nelle assegnazioni effettuate da qualsiasi tipo di società). Peraltro la possibilità di blindare il valore dell’immobile in relazione al valore catastale rivalutato blocca anche la possibilità che l’Agenzia delle Entrate possa sindacare in sede di accertamento il valore dell’immobile passato dalla sfera imprenditoriale della società a quella privata del socio senza un corrispettivo. Infine, prospetticamente, il ricorso alle operazioni agevolate può risolvere molti problemi alle cosiddette “società di comodo”.

LA RISOLUZIONE N. 98/E/2017 – LA SCISSIONE ASIMMETRICA  

Nella risoluzione n. 98/E/2017, le Entrate hanno precisato che non configura abuso del diritto la scissione non proporzionale finalizzata a creare i presupposti per l’assegnazione agevolata di immobili sociali. La risoluzione ha preso in esame gli eventuali profili elusivi di una scissione societaria. Nella prospettiva di procedere con un’operazione di assegnazione agevolata, i soci di minoranza avevano espresso parere negativo all’operazione, non avendo risorse finanziarie sufficienti per il pagamento dell’imposta sostitutiva. Per procedere comunque con l’assegnazione di parte del patrimonio societario, la società evidenzia che intende procedere ad effettuare una scissione non proporzionale e asimmetrica creando una nuova società (beneficiaria) nella quale entreranno solo alcuni dei soci della scissa, a cui verranno trasferiti i beni che si intendono poi assegnare. La scissa resterà in vita proseguendo l’attività di impresa che consiste nella locazione degli immobili ai soci stessi. La società beneficiaria assegnerà tutti i suoi beni ai soci (che costituivano originariamente la maggioranza del capitale della scissa e che dalla scissa sono usciti a seguito della operazione) avvalendosi delle disposizioni agevolative. In questo contesto L’Agenzia è stata chiamata ad esaminare i profili fiscali della scissione in relazione alla norma anti abuso (articolo 10-bis della legge 212/2000), distinguendo tra comparto delle imposte sui redditi e comparto imposte indirette. Quanto alle imposte sui redditi, la risoluzione, pur richiamando precedenti di prassi che censuravano le scissioni attuate per creare società contenitore finalizzate alla successiva cessione (tesi peraltro già abbandonata con la risoluzione 97/E/2017), afferma che non configura abuso la scissione preordinata a creare i presupposti per una assegnazione agevolata del patrimonio anche solo ad alcuni dei soci. L’operazione, in quanto finalizzata ad avvalersi di una disposizione agevolativa, costituisce scelta meritevole di tutela, che non integra lo sviamento della ratio di alcuna norma o principio dell’ordinamento. Non si configura, in buona sostanza,  alcun indebito vantaggio fiscale.

Con riferimento alle imposte indirette, le Entrate, dopo aver ribadito (come già nella 97/E) che l’operazione va vagliata non già in base alla norma anti abuso, quanto secondo l’art. 20 del Dpr 131/86, entrano nel merito del quesito affermando che la scissione non presenta aspetti di criticità, tenuto conto che essa è soggetta espressamente alla tassa fissa di registro e che, nel caso, la successiva assegnazione agevolata non è tale da modificare la qualificazione giuridica della operazione.

Si segnala che anche in passato l’Agenzia si è espressa in merito a possibili abusi nelle operazioni agevolate di assegnazione. Con due risoluzioni dello scorso anno le Entrate già avevano sancito la piena legittimità dei risparmi fiscali che si possono ottenere grazie alla combinazione di operazioni agevolate e ordinarie. Il caso affrontato con la ris. n. 93/E/2016, riguardava una società che aveva ricevuto una proposta di acquisto degli immobili di cui era proprietaria. Vista la normativa di favore fiscale di cui alla Legge n. 208/2015, la società era intenzionata in una logica di mera convenienza economica, di assegnare gli immobili ai soci lasciando agli stessi soci l’opportunità di venderli successivamente ed al medesimo acquirente che si era offerto di acquistarli dalla società. In questo modo i soci assegnatari realizzerebbero un reddito imponibile ex art. 67 del Tuir, solo per la parte del corrispettivo eccedente il valore fiscale di assegnazione e quindi la plusvalenza verrebbe affrancata pagando l’imposta sostitutiva dell’8%. L’Agenzia ha affrontato la questione partendo dall’art. 10 bis dello Statuto del Contribuente che, nella versione post Dlgs 128/2015, definisce abusive le operazioni «prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti». Le Entrate hanno evidenziato che una operazione configura abuso del diritto quando presenta, contemporaneamente, i seguenti tre requisiti:

  1. a) realizza un vantaggio fiscale “indebito”, costituito da «benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario»;
  2. b) è priva di “sostanza economica”, ovvero è inidonea a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali;
  3. c) porta essenzialmente al conseguimento di un “vantaggio fiscale”.

La mancanza anche solo di uno dei tre requisiti, comporta l’assenza di abuso mentre alla presenza di tutti e tre i requisiti si configura l’operazione come abusiva salvo che esistano “valide ragioni extrafiscali non marginali”. Nel caso di specie per le Entrate la cessione degli immobili effettuata dai soci in un momento successivo all’assegnazione è una facoltà che il legislatore non ha inteso vietare; la conseguenza è che il legittimo risparmio di imposta che ne deriva non è sindacabile. A parere dell’Agenzia, infatti, ciò appare in linea con la ratio della norma sulle assegnazioni agevolate che consente alle società di estromettere gli immobili per i quali non sussistono più condizioni economicamente vantaggiose mentre invece i medesimi beni potrebbero avere una loro valorizzazione mettendoli sul mercato. Va rilevato che l’Agenzia in precedenza aveva già svolto alcune considerazioni in tema di “abuso” sulle operazioni agevolate nella circolare 26/E/2016, precisando che il cambiamento di destinazione d’uso di un immobile, che prima veniva utilizzato direttamente e poi no, risultava scelta preordinata all’esercizio di una facoltà prevista dalla legge dalla quale origina un legittimo risparmio d’imposta.

Con la successiva risoluzione n. 101/E/2016 le Entrate avevano escluso ogni profilo di abuso per le operazioni di trasformazione agevolata in società semplice di società che, a loro volta, derivano da una precedente scissione di una società con attività mista. Il carattere di lecito risparmio d’imposta deriva, infatti, anche in questo caso dalla natura agevolativa delle disposizioni che consentono di estromettere dal regime di impresa, con l’assegnazione e la cessione, ovvero con la trasformazione in società semplice, beni in realtà nella disponibilità dei soci e per i quali non è realistico ipotizzare condizioni di impiego mediamente profittevoli nel contesto della gestione imprenditoriale.

LA RISOLUZIONE n. 99/E/2017 – L’operazione “circolare”

L’operazione analizzata nella successiva risoluzione n. 99/E riguarda un caso diverso e conduce a conclusioni non favorevoli ai contribuenti. La fattispecie riguarda una snc che svolge lavorazioni industriali, proprietaria di un immobile nel quale viene svolta l’attività. La sequenza di operazioni prospettata è la seguente:

  • conferimento nell’azienda industriale in una newco, partecipata dagli stessi soci della conferente (con mantenimento nella società conferente del solo immobile, oltre che della partecipazione nella newco);
  • locazione dell’immobile alla newco;
  • assegnazione dell’immobile ai soci (i quali continueranno a locarlo alla newco);-
  • scioglimento della società, con assegnazione ai soci della partecipazione nella newco.

Questa sequenza di operazioni trova essenzialmente la sua origine nel fatto che, essendo l’immobile utilizzato direttamente nell’esercizio dell’attività d’impresa e avendo, quindi, il requisito della strumentalità per destinazione, esso non può beneficiare delle agevolazioni previste dalla L. 208/2015 per l’assegnazione. In pratica con il conferimento l’immobile perderebbe questa caratteristica, essendo locato ad un soggetto terzo (la società di persone di nuova costituzione).

Secondo l’Agenzia in questo contesto è invece da considerare indebito il vantaggio fiscale ritraibile dall’assegnazione. Per le Entrate, infatti, con il conferimento si violerebbe l’art. 1, comma 115 della legge, che riserva i benefici agli immobili diversi da quelli strumentali per destinazione. Ciò in quanto il mutamento della natura dell’immobile (utilizzato direttamente prima del conferimento, locato dopo il conferimento stesso) risulterebbe solo formale e non sostanziale, dato che l’immobile continuerebbe ad essere utilizzato nell’esercizio dell’attività imprenditoriale, anche se in capo ad un soggetto (la newco) che di fatto replicherebbe, in quanto a forma giuridica e compagine sociale, la società di partenza. Si sarebbe in buona sostanza davanti a delle operazioni caratterizzate dell’assenza di sostanza economica e del carattere essenziale del vantaggio fiscale nella natura “circolare” dell’operazione: per le Entrate la sequenza degli atti porterebbe, infatti, ad un risultato sostanzialmente identico a quello che si aveva in partenza, non potendosi quindi parlare di una vera e propria estromissione del bene dal circuito d’impresa. La  conferitaria, peraltro, sarebbe composta dai medesimi soci e continuerebbe a svolgere la stessa attività di quella a suo tempo esercitata dalla società conferente. Né varrebbe ad escludere la natura abusiva la presenza di ragioni extrafiscali non marginali, nel caso considerato ritenute insussistenti. Il fatto, evidenziato dagli istanti, per cui con l’assegnazione sarebbe più semplice cogliere alcune occasioni di vendita dell’immobile che nel frattempo si presentassero, è stato ritenuto inidoneo ad integrare questo requisito, e tutta l’operazione è stata quindi ritenuta, in sintesi, preordinata a fare beneficiare delle agevolazioni un bene che, invece, doveva ritenersi escluso.

In dottrina la soluzione adottata dalle Entrate è stata oggetto, condivisibilmente, di sfumate critiche. E’ infatti stato evidenziato che vi sono delle perplessità sulla riconducibilità delle operazioni oggetto della risoluzione all’abuso del diritto e sul fatto che si tratti di operazioni circolari. Infatti in conclusione l’immobile verrebbe dato in locazione dai soci persone fisiche alla società (la New.co): quindi la situazione conclusiva non sarebbe propriamente quella di partenza come invece sostiene l’Agenzia delle Entrate (in cui l’immobile risultava di proprietà della società conferente). Dario Deotto – ne Il Sole 24 Ore del 28 luglio scorso – metteva ancora una volta in luce il sottile confine tra evasione ed elusione (abuso del diritto) che né la nuova norma italiana né le disposizioni comunitarie – che ora fanno riferimento alle “operazioni non genuine” – hanno ancora definito. Le operazioni “circolari”, le operazioni “non genuine”, sono di fatto situazioni ascrivibili alla simulazione/dissimulazione/interposizione, cioè vicende di evasione. Peraltro, va rilevato che non è che se l’unica finalità di un’operazione è quella di ottenere un vantaggio fiscale, questa operazione va definita elusiva (meglio tornare a utilizzare tale termine in luogo di abuso del diritto) in quanto difettante di sostanza economica. Una società può infatti legittimamente trasformarsi in società di altro tipo solamente per fruire di un’imposizione più favorevole. Non c’è sostanza economica che tenga, se non quella del vantaggio fiscale. Allo stesso modo, già la relazione al vecchio articolo 37-bis del Dpr 600/1973 imputava al legittimo risparmio d’imposta la scelta di incassare un provento in un esercizio in luogo di un altro: scelta fatta per esclusive ragioni fiscali. Questo per dire che risulta un fraintendimento quello di ricercare l’abuso nell’assenza di sostanza economica e per affermare che, per il caso della risoluzione, l’Agenzia avrebbe potuto utilizzare, più propriamente, e anche in via semplicemente presuntiva, la dissimulazione delle operazioni poste in essere.

RISOLUZIONE n. 100/E – LA VERIFICA SULLA CAPIENZA DEL PATRIMONIO 

Nell’ambito dell’assegnazione agevolata una questione particolarmente delicata è quella che riguarda il rapporto tra patrimonio netto contabile e valore dell’immobile assegnato ai soci. L’Agenzia sul punto ha affermato che per poter legittimamente accedere alla disciplina agevolata, è necessario detenere nel patrimonio netto riserve di importo almeno pari al valore contabile dell’immobile assegnato. Occorre, sul punto molto delicato, indagare sulla definizione tecnica di assegnazione che però non si rinviene direttamente nel Codice civile. L’Agenzia, dal canto suo, ha colmato l’assenza di una definizione civilistica di assegnazione fornendo una propria nozione riassunta nella seguente affermazione: «L’assegnazione viene a configurarsi ogni qual volta la società procede, nei confronti del socio, alla distribuzione di capitale o di riserve, o alla distribuzione di utili o riserve di utili mediante l’attribuzione di un bene». In pratica, quindi, per le Entrate si può parlare di assegnazione solo se si ha una riduzione del patrimonio netto per effetto dell’attribuzione al socio di un bene. In questo contesto la circolare n. 37/E/2016 ha ulteriormente precisato che «l’assegnazione dei beni ai soci comporta la necessità di annullare riserve contabili in misura pari al valore contabile attribuito al bene in assegnazione”.

La questione posta in maniera così drastica pone però più di qualche perplessità. Occorre infatti considerare che nelle operazioni di assegnazione la prassi contabile ammette la possibilità di trasferire al socio anche elementi del passivo, oltre che del patrimonio netto. Che l’accollo di debiti costituisca elemento tipico dell’assegnazione, peraltro, risulta anche a livello normativo, dato che l’articolo 1, comma 118 della legge 208/2015 ammette espressamente che il socio possa accollarsi delle passività, importo che deve essere portato a riduzione del valore normale dei beni ricevuti per rideterminare il costo fiscale della partecipazione post-assegnazione. E nella pratica l’accollo del debito è spesso fisiologico ogni qual volta l’acquisto dell’immobile è stato finanziato ricorrendo al capitale di terzi (tipicamente i mutui bancari). Il contesto che si era quindi così consolidato, sembra porsi in contrasto con quanto affermato dall’Agenzia nella citata circolare, secondo la quale, per poter legittimamente parlare di assegnazione occorre che la riduzione del patrimonio netto debba essere pari al valore contabile del bene assegnato. Il riferimento specifico effettuato dalle Entrate al valore “contabile” dell’immobile assegnato induce comunque a ritenere che quello che fa gioco, su questo aspetto, è il valore di assegnazione attribuito dai soci e non dal fisco (riferendosi più nello specifico al possibile valore “normale” del bene). In pratica, quindi, è da ritenere non vi possa essere da parte dell’amministrazione finanziaria un qualche sindacato in merito al valore contabile attribuito al bene nell’assegnazione, valore che poi va confrontato con la dotazione di patrimonio netto. Peraltro che l’operazione di assegnazione possa avvenire anche semplicemente scegliendo contabilmente il valore di libro dell’immobile, al posto di quello normale, è decisione riconosciuta corretta dallo stesso Documento emanato dal Consiglio nazionale dottori commercialisti del 14 marzo 2016, in cui si prevede espressamente che i soci possano attribuire all’immobile il valore netto contabile.

In questo specifico contesto è intervenuta la risoluzione n. 100/E/2017 che ha esaminato il caso di una società in contabilità semplificata che intende assegnare l’immobile ai soci e si pone il problema se anche per questo caso vi sia l’obbligo di annullare riserve del netto per pari importo.  Nella citata risoluzione l’Agenzia ha osservato come la precisazione in merito alla necessità di utilizzare riserve disponibili di utili e/o di capitale almeno pari al valore contabile attribuito al bene in sede di assegnazione non interessa le società in contabilità semplificata dato che, in questi casi, l’assegnazione dei beni ai soci non richiede l’annullamento delle riserve visto che esse riserve non trovano alcuna evidenza nelle scritture contabili delle società in regime contabile semplificato.

 

 

 

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