Enrico Comparotto e Claudio Ceradini su Il Sole 24 Ore. Gli aspetti fiscali del nuovo art. 118 L.F. nel documento del CND

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Enrico ed io abbiamo commentato su Il Sole 24 Ore la sezione del documento del Cndcec del 6 giugno scorso ed il tentativo di riordino della fiscalità della chiusura del fallimento in pendenza di giudizio alla luce del rinnovato art. 118, comma 2, secondo periodo, della Legge Fallimentare.

La materia è delicata, posto che l’insorgenza di effetti potenzialmente reddituali successivi alla chiusura della procedura è sconosciuta alla disciplina contenuta all’art. 183, comma 2, Tuir, che al contrario regola l’emersione di imponibile ove si generi una differenza positiva tra i patrimoni riferiti alla data della sentenza di fallimento ed al decreto di chiusura (art. 119 Legge Fallimentare), secondo le regole che l’agenzia ha circostanziato con le circolari numero 26/E del 2002 e 42/E del 2004. Rigorose le indicazioni anche per i termini di chiusura della partita IVA, che la stessa circolare 26/E riferisce, in applicazione dell’art. 35, comma 4, del Decreto Presidente della Repubblica 633/1972, al decreto di chiusura del fallimento. Per gli ulteriori effetti che si producessero dopo la sentenza di chiusura del fallimento, norma ed agenzia nulla riferivano, anche se la circostanza non è certo nuova. Anche prima della modifica dell’articolo 118, la normativa conosceva due fattispecie assimilabili: la riapertura della procedura per rinvenimento di nuove o prima sconosciute attività (articolo 121 Legge Fallimentare) e la risoluzione o l’annullamento del concordato fallimentare (articoli 137 e 138 Legge Fallimentare). Frammentarie erano le indicazioni, che il documento del Cndcec riordina anche alla luce delle indicazioni fornite dalla Dre Veneto con nota del 23 marzo 2016, e più recentemente dal plenum del tribunale di Milano, sezione fallimentare, con circolare numero 118 dell’11 aprile 2017.

Due i principali aspetti, le imposte dirette e l’IVA.

A fini reddituali, il curatore che mantiene ai sensi dell’art. 120, comma 5, le sue funzioni, è chiamato a verificare se l’esito dei giudizi generi materia imponibile ai sensi dell’articolo 183 Tuir, o la modifichi. Ove accada, ed è raro, che la vittoria generi un avanzo tassabile, o che la soccombenza al contrario lo riduca, il curatore dovrà presentare nuova dichiarazione ai sensi dell’articolo 8 del Dpr 322/1997 in sostituzione della precedente. La Dre chiarisce che non è applicabile l’istituto della dichiarazione integrativa, che l’articolo 2 del Dpr 322/1997 prevede a correzione di errori, ma nulla dice con riferimento alla eventuale minore liquidazione dell’imposta ed alla sua “gestione”.

Con riferimento all’IVA il documento del Cndcec condivide la posizione del plenum del tribunale di Milano, che ammette la possibilità per il curatore di non procedere alla cancellazione della società dal registro delle imprese, quale effetto automatico della sentenza di chiusura della procedura ex articolo 118, comma 1, n. 3, mantenendola al contrario in vita, e con essa il conto corrente dedicato e la partita IVA, così evitando che gli adempimenti che si rendessero necessari all’esito del giudizio, quali l’emissione di fattura o l’esercizio del diritto di rivalsa, ne richiedano la riapertura. Più rigida la visione della Dre Veneto, che confermando la precedente posizione dell’agenzia dispone la chiusura della partita IVA, da riattivarsi solo se la definizione dei giudizi pendenti rendesse necessari ulteriori adempimenti ai fini Iva.

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