Affitto di azienda e ipotesi di bancarotta. Un commento di Claudio Ceradini su Il Sole 24 Ore.

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Su Il Sole 24 Ore ho commentato il contenuto della sentenza numero 9768/2018, con cui la Sezione Penale della Corte di Cassazione, confermando un orientamento pressochè decennale (Cass n. 46508/2008, Cass. n. 7201/2006), ribadisce che il contratto di affitto di azienda stipulato in prossimità della sentenza dichiarativa di fallimento integra, o meglio può integrare, la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, di cui all’articolo 216 Legge Fallimentare. Comprendere l’approccio della Suprema Corte nel tracciare il confine di ammissibilità dell’affitto nelle operazioni di gestione della crisi, che spesso lo prevedono quale strumento efficace e funzionale al successo del progetto, è tema che merita una riflessione. Le ragioni di un utilizzo così frequente sono perlomeno due. In primo luogo l’affitto consente, pur nel rispetto delle ormai stringenti regole di selezione competitiva dell’aggiudicatario, di trasferire rapidamente la gestione in capo a soggetto diverso, evitando che il complesso organizzato di beni e rapporti giuridico-aziendali si disgreghi irreparabilmente, e si dissipi di conseguenza buona parte del valore intrinseco dell’azienda, pur sofferente. Nelle crisi si assiste spesso alla diaspora dei dipendenti migliori e degli agenti più efficienti, ed all’inaridimento dei rapporti con clienti e fornitori. Il trasferimento temporaneo della gestione limita il fenomeno, favorendo la conservazione della funzionalità unitaria del complesso aziendale. In secondo luogo l’affitto dell’azienda consente di arrestare le perdite della gestione, deficitaria, del debitore in crisi, e di consolidare il passivo, evitando nel fallimento l’ampliamento del dissesto e consentendo nel concordato preventivo la formulazione di proposta che assicuri, e non solo paventi, ai creditori un’utilità individuata ed economicamente valutabile (articolo 161 Legge Fallimentare).

Quello che l’affitto non può provocare è un qualsiasi danno al patrimonio del debitore, ed è proprio su questo aspetto che si incardina l’orientamento della Corte d Cassazione. Non è ammissibile l’affitto che lasci l’impresa dissestata nell’impossibilità assumere iniziative, ne ostacoli la cessione del patrimonio, o ne depauperi il valore di realizzo, in ogni caso danneggiando i creditori concorsuali. Su questi punti quindi la disciplina convenzionale dell’affitto di azienda deve essere rigorosa. E pericoloso affittare l’azienda e trasferire a terzi gestione e patrimonio al di fuori di un disegno complessivo finalizzato alla valorizzazione in continuità o alla miglior cessione possibile. Va riconosciuto agli organi della procedura il diritto di risolvere il contratto, reimmettendo rapidamente il debitore o la procedura nel possesso del complesso aziendale, se necessario per massimizzarne il realizzo. Infine va esclusa ogni ipotesi di depauperamento, dimensionando correttamente il canone e disciplinando l’obbligo di mantenimento dell’efficienza e di conguaglio finale, di cui all’articolo 2561, commi secondo e quarto, del Codice Civile. Non pare, in effetti, a priori preclusa la possibilità di ricorrere all’affitto di azienda nella soluzione delle crisi, purchè si tutelino solidamente gli interessi del ceto creditorio.

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