SLT ad Italia per le Imprese. La via dello sviluppo internazionale per la buona imprenditoria italia

image_pdfCrea PDFimage_printStampa

SLT ha partecipato al road-show Italia per le Imprese, che si è tenuto a Bolzano. E’ stata l’occasione per una completa over-view di quanto le agenzie governative (hanno partecipato MISE, ICE, SACE, Prometeia, Simest) possono fare a favore delle imprese italiane che abbiano buone idee e vocazione all’espansione. E’ noto, vorremmo dire notorio, che il Made in Italy sia un elemento di competitività spesso impagabile, e che da solo costituisce un buon brand, garanzia di qualità, gusto e creatività, oltre che profonda competenza.

Se il mercato interno italiano fatica a sollevarsi, è un fatto che il trend delle esportazioni verso l’estero è tornato a farsi positivo, in significativa e costante crescita. Il dato interno dal 2010 non è confortante (-5%), e solo negli ultimi 12 mesi inizia ad apprezzarsi una crescita interessante (8% circa). L’estero è altra cosa, non ha mai di fatto tradito anche nel periodo più buio della crisi iniziata nel 2008, una delle più lunghe e profonde che la storia dell’economia nazionale abbia conosciuto.

 

Sull’estero le imprese italiane hanno saputo, nonostante il credit crunch conseguente allo smarrimento del sistema del credito ed alla ridotta incisività delle manovre economiche interne in termini di sviluppo, investimenti ed innovazione, guadagnare posizioni rispetto alla concorrenza delle imprese di altri stati. In mercati importanti come Germania, Francia e Stati Uniti le imprese italiane hanno aumentato la loro quota di mercato a discapito della concorrenza straniera.

 

Altrove si è faticato di più (si veda la rappresentazione grafica su dati Prometeia), ma è la dimostrazione che la competitività all’estero dell’impresa italiana costituisce un valore da tutelare e sviluppare. E la convinzione sale ancora se si tiene in considerazione il trend di crescita delle misure protezionistiche che a tutela dell’economia interna i paesi progressivamente adottano. Vere e proprie barriere all’ingresso che molti, anche tra i più liberal dei paesi al mondo, non esitano ad utilizzare, ad evidente discapito della crescita globale. Dal CEPR e dal Global Trade Alert si apprende che nel 2016 le barriere non tariffarie agli scambi, che costituiscono un protezionismo strisciante e, per così dire, poco lungimirante, sono cresciute enormemente.

 

E l’Italia non è tra gli stati che ne fatto uno strumento di difesa. Nonostante tutte le difficoltà, le critiche e le recriminazioni di cui è spesso bersaglio, non è intervenuta chiudendo il mercato interno. Le importazioni stanno screscendo, e la competitività interna misura e misurerà la capacità competitiva delle nostre imprese. Fuori dall’Italia, Stati Uniti, Russia, India, hanno tutti, pur essendo colossi economici, alcuni dei quali seduti su giacimenti di risorse naturali unici al mondo per vastità e ricchezza, fatto ampio ricorso ad ogni tipo di misura protezionistica.

 

Riferisce Prometeia dell’accurato lavoro svolto da UNCTAD e Peterson Institute, secondo cui dal 2005 a oggi un quarto degli interventi legislativi destinati a disciplinare gli investimenti ha creato in qualche modo una barriera all’ingresso per gli stranieri. Lo stesso dato non superava il 7,5% nelperiodo 1992 / 2004. Diverse sono le misure striscianti con cui la politica di corto e mediocre raggio difende i suoi voti. Una delle più gettonate è il Local Content Requirement (LCR), con cui si prevede che investimenti, prodotti o servizi debbano essere per una certa percentuale prodotti nel paese di destinazione (117 provvedimenti riconducibili a questo schema si rilevano dal 2008 al 2013, nel corso della crisi, per un valore di 928 miliardi di dollari di flussi commerciali). Ancora (fonte CEPR) dal 2008 al 2016 si contano 3500 provvedimenti protezionistici, non tariffari, di cui 800 definibili LCR, spesso formalmente sostenuti da esigenze ecologiche o di sostenibilità (sgravi di imposte o sconti subordinati all’origine domestica dei fornitori negli appalti, bailout, contratti pubblici e finanziamento delle esportazioni regolamentati in base alla nazionalità dei soggetti fornitori, licenze di importazione manovrate, impedimento per operatori esteri di accedere a determinati settori domestici, obbligo di conservazione dei dati, loro analisi, e test dei prodotti da realizzarsi localmente, etc.).

In questo contesto, difficile e quasi di chiusura per le imprese straniere, l’Italia imprenditoriale è cresciuta nel mondo, più degli altri mediamente, dando prova che molti dei pregiudizi più gettonati nascondono spesso talento e capacità, che generano competitività. Il video che abbiamo deciso, dopo averne chiesto l’autorizzazione, di inserire nel canale YouTube di SLT è emblematico.

Tuttavia la vocazione alla internazionalizzazione non basta. L’impresa che si voglia cimentare su mercati esteri deve acquisire conoscenze, maturare capacità manageriali nuove ed individuare la copertura del fabbisogno finanziario che un progetto come questo genera. E’ terreno in cui la misurata collaborazione tra i professionisti che assistono l’imprenditore e le agenzie governative può essere l’elemento in più, che consente ad una bella idea di diventare prima progetto ed infine realtà.

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *