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Quanto può rischiare un amministratore? Claudio Ceradini su “Il Sole24Ore”

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Lunedì scorso ho commentato su Il Sole 24Ore una sentenza con cui la Corte di Cassazione (n. 2172/2023) torna su un tema delicato: la discrezionalità d’intervento di un amministratore ed il suo limite.

In effetti l’amministratore può prendere decisioni anche rischiose, a patto che siano assunte con diligenza, informandosi prima, valutando l’impatto organizzativo e finanziario, e adottando poi le necessarie misure. La Corte di Cassazione è quindi tornata sul principio della insindacabilità nel merito delle decisioni assunte dagli amministratori, pronunciandosi su una vicenda in cui all’acquisto di un ramo di azienda sofferente segue un inesorabile declino dell’acquirente verso l’insolvenza. La responsabilità degli amministratori nella circostanza non deriva dalla scelta in sé, nel merito lecita ed insindacabile anche se rischiosa. Il punto dolente è altro, e cioè il metodo con cui le decisioni sono state assunte, e le conseguenze gestite, e quindi in fondo la declinazione italiana della business judgment rule che nei sistemi governati dal common low stabilisce pur faticosamente il punto di incontro tra rischio imprenditoriale e tutela degli stakeholders e che da noi cerca il difficile equilibrio tra la libertà di iniziativa degli amministratori ed i limiti derivanti dall’obbligo di destinare i mezzi resi disponibili da soci e creditori ad un risultato positivo e di non arrecare loro danni irragionevoli. Il metodo quindi fa la differenza e si declina in due principali punti cardine, oltre ovviamente al rispetto della legge: la condotta diligente e la ragionevolezza.

L’amministratore deve operare secondo la diligenza richiesta dall’incarico. Una adeguata istruttoria, da cui scaturisca un quadro informativo adeguato (Cassazione 1783/2015), deve precedere la decisione e deve consentire una appropriata valutazione dei rischi e dei benefici prevedibili. La acquisizione di un ramo di azienda pesantemente indebitato, può di per sé costituire senz’altro una buona opportunità. Il potere contrattuale dell’acquirente e l’indebitamento del cedente possono determinare condizioni economiche e contrattuali invitanti, tali per cui l’operazione si prospetta come un buon affare, almeno potenzialmente. Ma comprare è facile, gestire è molto più complesso. Richiede che la struttura sia preventivamente adeguata alla nuova situazione, affinché il sogno del buon affare non si tramuti nell’incubo del precipizio e dell’insolvenza, come nel caso esaminato dalla Cassazione. Il quadro informativo deve consentire di predeterminare le misure da adottare, in termini sia organizzativi, per consentire alle strutture di integrarsi nella prospettiva di produrre un profitto, sia finanziari, per disporre di risorse sufficienti a coprire il fabbisogno generato dall’operazione.

Le decisioni, anche rischiose, devono essere ragionevoli,  (Cassazione 15470/2017) cioè coerenti rispetto al quadro informativo disponibile, non avventate. Consapevoli che il ramo di azienda acquistato era molto indebitato, con patrimonio di funzionamento negativo, gli amministratori avrebbero dovuto adottare provvedimenti adeguati a rendere remunerativo e sostenibile l’investimento. Invece non lo fanno, consentendo ai debiti di incrementarsi sino all’insolvenza ed occultando le perdite tra le pieghe del bilancio. Proprio qui la Corte di Cassazione individua il nesso causale tra condotta colposa degli amministratori ed il danno che l’insolvenza arreca ai creditori. Per questo, e non per aver compiuto una scelta rischiosa, gli amministratori sono responsabili.

Infine una riflessione sugli adeguati assetti, oggi obbligatori in qualsiasi iniziativa d’impresa gestita collettivamente. Adeguare l’organizzazione alle esigenze aziendali e disporre di informazioni che consentano di individuare precocemente squilibri patrimoniali e di prevedere la sostenibilità del debito perlomeno nei dodici mesi successivi è oggi preciso obbligo normativo. Se la vicenda su cui la Cassazione si è pronunciata accadesse oggi, gli amministratori non contravverrebbero semplicemente all’obbligo di diligenza, ma violerebbero la legge, ed è molto peggio.

 

Di seguito alcuni riferimenti, inclusa la sentenza commentata:

Cassazione n. 3652, 24 aprile 1997

Le scelte compiute dagli amministratori nella “campagna acquisti” non sono censurabili sotto il profilo dell’opportunità, ed alcuna responsabilità può essere desunta dalla mera circostanza che il risultato della gestione sociale siano rivelati, ad un giudizio ex post, negativi.

 

Cassazione n. 3409, 12 febbraio 2013

La scelta di eseguire un investimento produttivo rivelatosi poi troppo onerosi improduttivo attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell’amministratore, ma non come fonte di responsabilità.

 

Cassazione n. 1783, 2 febbraio 2015

E’ responsabile l’amministratore che senza consultare il proprio legale decide di perfezionare una transazione sfavorevole per la società nell’imminenza dell’esito di un arbitrato. Non aver assunto un adeguato quadro informativo costituisce condotta colposa, non diligente.

 

Cassazione n. 15470, 22 giugno 2017

L’amministratore che conclude onerosi contratti con altre imprese privi di utilità reale per la società è responsabile per non aver agito ragionevolmente, in coerenza con il quadro informativo disponibile, pervenendo a decisioni irrazionali ed avventate.

 

Cassazione n. 2172, 24 gennaio 2023

Compie un atto di mala gestio l’amministratore che acquisti un ramo di azienda pesantemente indebitato e che non provveda ad adottare le misure, organizzative e finanziarie, necessarie per a creare i presupposti per il recupero dell’equilibrio finanziario e della redditività.

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