COVID-19 ed esecuzione dei contratti pendenti (tra forza maggiore e facili entusiasmi)

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Vi sono implicazioni giuridiche ed economiche importanti dell’emergenza sanitaria in atto.

Ferma la preminente gestione della crisi a tutela della salute collettiva (fase acuta, di natura temporanea e destinata a risolversi nel breve periodo) appare non prematuro pensare sin d’ora alle strategie utili a porre rimedio (o ad attenuare) le conseguenze sui rapporti contrattuali pendenti del contagio oramai globale.

Le suggestioni di cui in appresso, a prima lettura di una fattispecie complessa, hanno l’intento di spronare gli imprenditori e gli operatori economici ad analizzare quanto prima lo stato dei propri rapporti contrattuali con clienti e fornitori (soprattutto in relazione ai rapporti intrattenuti con Paesi diversi dall’Italia) così da adottare le opportune cautele o azioni a tutela della propria attività, ritenendo di dover sconsigliare di fare cieco affidamento alla straordinarietà dell’attuale situazione.

Le problematiche che le imprese di tutto il mondo si trovano ad affrontare appaiono evidenti ed intuibili: difficoltà nella produzione di beni o nell’erogazione di servizi, vuoi per carenze organizzative interne (riduzione dell’operatività ordinaria, quale conseguenza di eventuali provvedimenti governativi restrittivi della circolazione delle persone), vuoi per interruzione della c.d. supply chain (impossibilità o difficoltà di produrre i beni od erogare i servizi, atteso il mancato approvvigionamento di materie prime o componenti essenziali).

In questo scenario, la domanda che frequentemente mi viene posta (soprattutto in relazione ai rapporti con fornitori o clienti stranieri) è quella se l’attuale situazione di pandemia possa configurare una causa di c.d. forza maggiore che possa scusare l’inadempimento.

La fibrillazione (ai limiti dell’irraizonalità) conseguente all’emergenza collettiva deve tuttavia essere analizzata attraverso l’occhio severo e disincantato del giurista, smorzando facili entusiasmi o grossolane semplificazioni.

Premettendo che ogni rapporto contrattuale deve essere esaminato alla luce delle specifiche clausole siglate e della normativa nazionale applicabile al rapporto, in linea generale può ritenersi che – relativamente ai contratti c.d. pendenti – l’impossibilità sopravvenuta oggettiva e non imputabile di eseguire la prestazione può portare a scusare la mancata esecuzione della prestazione e quindi portare (se definitiva) alla risoluzione del contratto.

Il principio va, peraltro, declinato nella singola fattispecie contrattuale; ecco che, ad esempio, una mera difficoltà (o maggiore onerosità) nel reperire le materie prime o i beni necessari alla produzione (specialmente se beni fungibili o addirittura commodities), difficilmente potrà essere invocata dall’imprenditore quale causa di forza maggiore per scusare la propria mancata fornitura dei propri clienti.

Parimenti, mere difficoltà nella gestione del proprio personale potrebbero non risultare sempre rilevanti ai fini che qui interessano (rimandando a distinto contributo, dall’analisi sommaria dei recenti DPCM emanati dal Governo italiano pare evidente come non vi sia un divieto assoluto di recarsi al lavoro, peraltro essendo incoraggiato l’utilizzo, dove possibile, del telelavoro).

Emblematica è la disposizione di cui all’art. 79 della Convenzione di Vienna sulla compravendita internazionale di beni mobili (norma molto spesso applicabile ai contratti di vendita internazionali) in base alla quale l’inadempimento risulta scusabile solo se la parte prova che esso è dovuto da impedimento al di fuori del propri controllo, imprevedibile al momento della conclusione del contratto e le cui conseguenze non possono essere evitate o superate al momento in cui l’adempimento è dovuto.

Si tratterà peraltro di andare ad indagare eventuali clausole contrattuali sul tema (non infrequenti, ma spesso redatte in modo standardizzato e quindi poco utile); interessante è il dibattito circa la possiblità o meno delle parti di tipizzare circostanze di “forza maggiore” (al di là delle iconografiche “invasioni di cavallette” o “conseguenze della scissione dell’atomo”).

Alla difficoltà nell’esecuzione della prestazione (in dipendenza di circostanze eccezionali) è invece connessa la disciplina della c.d. onerosità sopravvenuta (a livello contrattuale, regolate con specifiche pattuizioni; c.d. hardship clause); molte legislazioni (tra cui quella italiana) consentono ad una parte di sciogliersi dal contratto ogni qual volta lo sforzo (economico) necessario ad eseguire l’adempimento (teoricamente possibile) appare eccessivo e non proporzionato. Tale opzione, potrebbe risultare un’adeguata exit strategy, laddove non fosse percorribile la strada dello scioglimento (o della sospensione) per causa di forza maggiore.

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