Rivalutazione agevolata dei beni di impresa

La Legge di Stabilità 2016 (art. 1, co. 889-897) riapre alla rivalutazione del beni di impresa.

In sintesi accedono alla rivalutazione,

  • società per azioni, in accomandita per azioni ed a responsabilità limitata residenti nel territorio dello Stato;
  • società cooperative e di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato;
  • enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché trust, residenti nel territorio dello Stato, che abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di un’attività commerciale e che in tale ambito detengano beni rivalutabili;
  • persone fisiche che svolgono attività produttiva di reddito d’impresa;
  • società in nome collettivo, in accomandita ed equiparate;
  • aziende pubbliche e municipalizzate;
  • società ed enti non residenti, nonché le persone fisiche non residenti, che esercitano attività commerciali nel territorio dello Stato, mediante stabili organizzazioni.

Il richiamo, contenuto nel comma 895, all’art. 15 della L. 342/2000 conferma anche per questa tornata dell’agevolazione l’applicabilità anche alle società di persone ed alle ditte individuali in regime di contabilità semplificata.

Sono agevolabili i beni che hanno trovato iscrizione nel bilancio o nel rendiconto relativi all’esercizio in corso al 31.12.2014. Possono quindi essere rivalutati beni materiali, inclusi gli immobili cui per diversi aspetti sono destinate regole specifiche, ed immateriali consistenti in diritti giuridicamente tutelati come i brevetti industriali e i diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno, le concessioni, le licenze, i marchi, il know how, ed altri simili. I beni possono anche non trovare più esplicita rappresentazione patrimoniale in quanto integralmente ammortizzati, o non trovarla affatto perchè internamente prodotti e mai capitalizzati, ma è necessario che siano giuridicamente tutelati.

I beni debbono essere riclassificati in categorie omogenee, e la rivalutazione deve interessare tutti i beni che ne fanno parte, secondo le indicazioni dell’ormai noto D.M. n. 162/2001, richiamato dal comma 895. I criteri:

  1. i beni materiali ammortizzabili, diversi dagli immobili e dai mobili iscritti in pubblici esercizi, sono raggruppati in categorie omogenee per anno di acquisizione e coefficiente di ammortamento;
  2. gli immobili si distinguono in fabbricati non strumentali, fabbricati strumentali per destinazione, fabbricati strumentali per natura, aree non fabbricabili e aree fabbricabili. Per le aree fabbricabili rileva poi per l’individuazione della categoria omogenea la specifica destinazione urbanistica;
  3. i beni iscritti in pubblici registri sono a loro volta raggruppati in categorie omogenee distinte a seconda che si tratti di aereomobili, veicoli, navi e imbarcazioni;
  4. i beni immateriali sono ciascuno autonomamente rilevante ai fini della rivalutazione.
  5. è consentito escludere dalla categoria di appartenenza i beni a deducibilità limitata e quelli ad uso promiscuo, che dovendo scontare i medesimi oneri di rivalutazione e non potendo nel contempo assegnare se non limitatamente il conseguente beneficio, costituirebbero un iniquo appesantimento; se tuttavia tali beni fossero inclusi, l’imposta sostitutiva dovrà comunque essere corrisposta anche sulla parte fiscalmente non deducibile.

Il costo della rivalutazione è il seguente

– 16% per i beni ammortizzabili,

– 12% per i beni non ammortizzabili.

Come per l’ultima edizione della rivalutazione, anche questa sconta un periodo di moratoria degli effetti fiscali, diversamente articolato per il caso della cessione. Il maggior valore si considera fiscalmente riconosciuto a decorrere dal terzo esercizio successivo a quello in cui la rivalutazione è eseguita, ma plusvalenze e minusvalenze potranno trovare quantificazione sulla base dei nuovi valori solo dal quarto anno. Per i cosiddetti soggetti solari si tratta di aspettare il 2018 per poter beneficiare dei generali effetti del riconoscimento dei nuovi valori fiscali. Regola a parte invece per le plusvalenze e minusvalenze realizzate a seguito di cessione, assegnazione ai soci o destinazione a finalità estranee all’esercizio d’impresa. Si dovrà attendere il quarto esercizio successivo a quello di rivalutazione e quindi, generalmente, il 2019. Chi cede prima, dovrà determinare la plusvalenza con riferimento al precedente valore non rivalutato, assoggettare il risultato a tassazione ordinaria e richiedere il rimborso per le rate di imposta sostitutiva già corrisposte.

Diverse invece rispetto alla precedente edizione le modalità di pagamento dell’imposta sostitutiva (comma 894), che deve essere versata in unica rata, compensabile in F24, entro il termine di versamento a saldo delle imposte sui redditi dovute con Unico 2016 (ordinariamente il 16 giugno 2016).

Come nella rivalutazione disciplinata dalla L. 147/2013, la contropartita della rivalutazione, e cioè il saldo attivo collocato a patrimonio, può essere affrancato con un’ulteriore imposta sostitutiva (che si aggiunge, naturalmente, a quella dovuta per la rivalutazione) pari al 10%. Il saldo attivo da rivalutazione è riserva in sospensione d’imposta. Qualunque utilizzo non comporta tassazione, ma unicamente l’obbligo di reintegro (in assenza degli adempimenti di cui all’art. 2445 C.C.) fatto salvo il solo caso della distribuzione ai soci. In questa circostanza la tassazione può ordinaria può essere può essere evitata affrancando la riserva di rivalutazione con il versamento di una ulteriore imposta sostitutiva delle imposte sul reddito e dell’Irap, pari al 10%. Chi volesse affrancare il saldo di rivalutazione (si tenga conto che imposta sostitutiva del 16% e affrancamento del 10% conducono ad un 26% sostanzialmente corrispondente alla tassazione ordinaria).

Questi quindi gli effetti dell’affrancamento:

  1. in caso di distribuzione, la riserva va classificata “riserva di utili”, suscettibile di generare imponibile in capo al socio percipiente, ma non in capo alla società,
  2. il saldo affrancato, non più sospeso e divenuto riserva di utili, non gode più della esclusione dalla presunzione assoluta di cui all’articolo 47, co.1 del Tuir.

Quindi, se il bene rivalutato viene ceduto “in moratoria”, e quindi prima che esso abbia acquisito il riconoscimento fiscale del maggiore valore da rivalutazione, il contribuente beneficerà del credito di imposta pari alla sostitutiva versata e nel contempo il saldo potrà considerarsi affrancato, rientrando l’operazione negli ordinari meccanismi di tassazione.

Il comma 896 prevede che i maggiori valori iscritti ai sensi dell’art. 14 L. 342/2000 siano riconosciuti con effetto anticipato al periodo di imposta in corso al 01/01/2017. In via generale una moratoria più breve quindi per gli effetti fiscali dei soli immobili. Non è al momento chiaro se il riferimento al riconoscimento fiscale del maggior valore iscritto sia rigorosamente limitato al comma 892, o ampliato alle plusvalenze da realizzo. In ogni caso una buona notizia, per chi in un settore come quello edile martoriato dalla stagnazione economica disponga ancora di immobili plusvalenti. Si ricorda peraltro che area e fabbricato, che costituiscono un unico indissolubile in realtà, riferiscono fiscalmente, al momento, a due diverse categorie omogenee. Quindi le regole dello scorporo di cui al D.L. 223/06 devono essere applicate anche alla rivalutazione, con la conseguenza che il valore delle aree occupate dalla costruzione e di quelle pertinenziali, va ricompreso nella categoria “omogenea” degli immobili non ammortizzabili. Fiscalmente due beni distinti, di fatto un unico fabbricato commerciale. La rivalutazione degli immobili rischia in molti casi di diventare molto onerosa proprio a causa della virtuale divisione dello stesso bene in due categorie di immobili distinte, e dell’obbligo di procedere necessariamente alla rivalutazione di tutti gli asset appartenenti alla medesima categoria.