Affitto di Azienda e Covid-19. Claudio Ceradini su Il Sole 24Ore

Prima della pausa feriale, ho avuto modo di commentare su Il Sole 24Ore il contenuto dell’ordinanza del Tribunale di Roma del 29 maggio. Se ne trae una conclusione: rimedio limitato per l’affittuario dell’azienda che non abbia potuto esercitare l’attività durante il lock-down imposto per il contenimento della diffusione del CoronaVirusDesease-19, in assenza di una intesa con il proprietario.

La vicenda.

Una società esercente attività di vendita al dettaglio assume allo scopo in affitto un ramo di azienda costituito da un negozio, all’interno di un centro commerciale. Il sopraggiunto obbligo di chiusura determinato dalle misure straordinarie di contenimento della pandemia impone all’affittuario di sospendere l’attività, e lo induce, fallito presumibilmente il tentativo di accordo con il proprietario, ad introdurre ricorso per ottenere con provvedimento d’urgenza la sospensione dell’obbligo di pagamento de canoni, per un periodo di sei mesi. Tre le principali ragioni addotte dal ricorrente, a sostegno di uno dei due presupposti indispensabili, il fumus boni iuris: l’analogia della richiesta con altre disposizioni straordinarie introdotte in tema di moratoria con il Decreto legge 18/2020, l’applicazione del principio della buona fede nella interpretazione degli obblighi contrattuali e la impossibilità temporanea sopravvenuta per il proprietario di fornire la prestazione, per gran parte costituita dalla concreta disponibilità di un punto vendita in cui commercializzare accessori per l’abbigliamento.

La posizione del tribunale.

Il tribunale di Roma, nell’esaminare le ragioni del ricorrente e dell’opponente, respinge pressochè in toto le richieste, pur auspicando un’intesa tra le parti.

L’assenza di una norma, pur straordinaria ma generale, che consenta di ottenere la sospensione dei canoni e contestualmente la presenza di una miriade di provvedimenti agevolativi, alcuni dei quali come l’articolo 28 del Decreto legge 34/2020 (cosiddetto Rilancio) riferiti anche all’affitto di azienda, impone di prendere atto della scelta del legislatore. Semplicemente non esiste una norma applicabile che consenta di imporre al proprietario una riduzione del canone. Poco persuasivo anche il richiamo al principio di buona fede, che impone un obbligo di collaborazione tra le parti ma nella misura in cui non rappresenti un apprezzabile sacrificio per una di esse. Difficile immaginarne una applicazione estensiva che incida sulle principali obbligazioni contrattuali senza che si sdogani un principio che rischierebbe di minare la stabilità degli effetti giuridici del negozio concluso. Più delicato l’ultimo dei tre temi. Nella misura in cui oggetto del contratto è la disponibilità del punto vendita, è pur vero che il lock-down ha temporaneamente reso impossibile la erogazione della prestazione per il proprietario. Se quindi è vero che non è configurabile una responsabilità per il debitore impossibilitato, esclusa dall’articolo 91 del Dl 18/2020, è ragionevole disporre una riduzione del canone sulla base dell’articolo 1464 del Codice Civile, ma limitatamente al periodo di chiusura obbligata. Peraltro, in assenza di un fondato rischio di pregiudizio irreparabile per l’affittuario pare esclusa la via processuale del provvedimento d’urgenza.