Il recupero delle eccedenze alimentari

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La congiuntura economica e sociale degli ultimi anni ha messo in profonda discussione l’attuale modello di crescita e sviluppo dove individualismo, ricerca del massimo profitto e logica dell’utile pervadono l’intero vivere in comunità, molto spesso a scapito dei valori etico-sociali, del capitale umano e relazionale.
L’economia di mercato ha certamente contribuito al raggiungimento di migliori condizioni economiche e di vita ma la straordinaria crescita materiale e la possibilità di avere quasi tutto ciò che si vuole, si sono pagati in realtà con un indebolimento dei legami sociali e delle reti di appartenenza, facendo assumere al denaro e alla ricchezza il segno del valore economico e sociale.
Gli impatti negativi e gli “effetti disgregatori” sulla società e sulla vita quotidiana delle persone di questo modello sono dimostrati anche dagli ultimi dati su povertà, disoccupazione e andamento delle variabili economiche.
Creare relazioni stabili e sistemiche tra i macro-settori che formano la società e cooperare nei territori in logica di rete sulla base della co-produzione (non si collabora ma si produce assieme) può permettere di applicare concretamente nei territori concetti quali quello della Welfare Society, dell’Economia Civile e della Sussidiarietà Circolare.
Assumersi una responsabilità al di là di quanto prescritto a livello legislativo per promuovere percorsi sostenibili e un benessere sociale diffuso, creando valore condiviso, è un qualcosa che compete a tutti.
Verona in un certo senso si è dimostrata su questo un territorio “avanguardista”. Da anni le Acli, assieme a Comune, Ulss20, aziende partecipate, associazioni no profit ed aziende “sensibili”, porta avanti un progetto denominato R.e.b.u.s. che ha come fine quello di recuperare eccedenze (principalmente alimentari ma non solo) da destinare a famiglie indigenti.
L’intento del progetto è proprio quello di lavorare per contrastare la cultura dello scarto adottando, , un “approccio ecologico” integrato però con una “prospettiva sociale”.
Nella buona prassi si cerca di ridurre la cultura dello scarto al minimo. Collegamenti diretti tra aziende donatrici ed enti beneficiari selezionati in funzione della prossimità fisica della sede e annullamento dello stoccaggio in magazzino dei prodotti ricevuti in donazione (con riduzione dei costi economici e ambientali connessi) sono alla base del modello. Inoltre, la particolare attenzione al recupero di cibi freschi quali ad esempio frutta e verdura è proprio finalizzata a garantire a tutti il diritto di accesso non solo al cibo ma al buon cibo.
Gli impatti che possono avere buone pratiche di questo tipo sono sintetizzabili nei risultati che si riescono ad ottenere: oltre 1.500.000 chilogrammi l’anno di prodotto recuperato sono infatti la conferma che se vi è l’impegno congiunto nell’attivazione di percorsi di sviluppo integrale la rotta si può cambiare.

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