Claudio Ceradini su Il Sole 24 Ore – la Cassazione sul perimetro della liquidazione, tra penale e civ

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Oggi ho avuto modo di commentare su Il Sole 24 Ore la sentenza della Cassazione n. 23161 del 10 maggio 2017, che contribuisce a rendere più chiaro il rapporto tra gli obblighi civilistici e tributari di pagamento delle imposte e le eventuali conseguenze penali dell’inadempimento, perlomeno con riferimento alle ritenute ed alle imposte dirette.

La questione non è nuova, e si pone  si pone all’interno del più ampio dibattito sui criteri che debbano governare le fasi di scioglimento di una società di capitali in deficit, in cui si sono alternati a far data dalla risalente sentenza della Suprema Corte n. 792/1970 orientamenti contrastanti. Alla soluzione interpretativa del Tribunale di Udine (sentenza 26 febbraio 2010) che esclude la responsabilità del liquidatore che avesse violato la gerarchia delle cause di prelazione applicando invece il principio del “prior in tempore potior in iure”, si è progressivamente sostituito un orientamento di legittimità (tra gli altri Cassazione n. 15442/2011) e di merito (tra gli altri Tribunale di Milano 9972/2014) basato sulla applicazione estensiva dell’articolo 2741 del Codice Civile. L’uguale diritto dei creditori di soddisfarsi sul patrimonio del debitore nel rispetto delle cause di prelazione trova quindi applicazione anche nello scioglimento di società di capitali, e diviene l’elemento caratterizzante la diligenza professionale che connota l’incarico di liquidatore, ai sensi dell’articolo 1176, secondo comma, del Codice Civile. In questo scenario ben si inserisce la disciplina della più circoscritta responsabilità del liquidatore per mancato versamento delle imposte dirette, contenuta nell’articolo 36 del D.Lgs 602/1973, che interviene ove egli non provi di aver soddisfatto con l’attivo disponibile crediti assegnati di una causa di prelazione superiore rispetto al debito per imposte dirette, avendo illecitamente preferito creditori postergati o addirittura i soci, e per una misura corrispondente alla capienza di cui il debito tributario avrebbe goduto graduando correttamente la gerarchia dei privilegi.

La questione spinosa, su cui la Corte di Cassazione interviene, è il rapporto tra la responsabilità patrimoniale del liquidatore e quella penale, segnatamente per omesso versamento di ritenute operate (art. 10-bis, Decreto Legislativo n. 74/2000), che punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versi entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta.

Due gli aspetti: se il rilievo penale travalichi gli obblighi civilistico-tributari, e quale sia il perimetro temporale della fattispecie delittuosa.

Sotto il primo profilo la Cassazione conferma in sede penale l’orientamento consolidatosi, che elegge a criterio cardine nella gestione della liquidazione la gerarchia delle prelazioni. La responsabilità penale matura quindi ove il liquidatore distragga attivo destinato al pagamento delle imposte e lo destini ad altro, poiché diversamente argomentando il rispetto della gerarchia nell’assolvimento delle posizioni debitorie costituirebbe fattispecie delittuosa in tutti i casi in cui conducesse alla involontaria, ed obbligatoria, omissione del versamento delle ritenute, e più generalmente delle imposte dirette posto che la stessa sentenza pone sul medesimo piano il debito proprio e quello maturato in qualità di sostituto d’imposta.

Stringente, invece, la lettura del dato normativo riferita al secondo aspetto. La Suprema Corte nega che nella fase liquidatoria il termine per la consumazione del reato di cui all’articolo 10-bis Dlgs 74/2000 possa essere allineato a quello civilistico. La responsabilità patrimoniale del liquidatore trova verifica e misura ai sensi degli articoli 1176 e 1218 del Codice Civile all’esito della procedura liquidatoria, sulla base del bilancio finale che, solo, evidenzia la sussistenza delle condizioni di cui all’articolo 36, Dpr 602/1973. Diversamente, la consumazione delle condotte omissiva, costituita dal mancato versamento, e commissiva, costituita dalla distrazione dell’attivo ad altri fini, resta ancorata alla data di presentazione della dichiarazione, talvolta antecedente, e non di poco, alla chiusura della liquidazione. E’ quindi essenziale programmare le operazioni liquidatorie, affinchè l’eventuale omissione del versamento non sia attribuibile a una scelta cosciente, integrante dolo generico, ma unicamente a dimenticanza, o comunque a sola condotta colposa.

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