Andrea Rossi su Contabilità e Bilancio (ed. Il Sole 24 Ore). La ripetibilità dei pagamenti eseguiti in corso di procedura, nel successivo fallimen

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Le recenti modifiche apportate alla normativa fallimentare dal DL 83/2015, non hanno affrontato la tematica relativa al trattamento delle somme riscosse dai creditori durante l’esecuzione del concordato preventivo che viene successivamente risolto, aprendosi conseguentemente il relativo fallimento; si tratta di un argomento delicato, per il quale la Cassazione si era già espressa in passato (sentenza 16738/2014), ma per il quale è possibile trovare orientamenti tra di loro discordanti e, pertanto, ci si auspica che l’attuale riforma alla legge fallimentare possa riformulare tale disposizione che, a volte,  ha “originato contrasti interpretativi, al fine di favorirne il superamento” così come specificato all’art. 2, lettera j del disegno di legge delega.

E proprio nell’ambito di tale tematica, la Corte di Cassazione, con sentenza dell’11 novembre 2015, n. 509, depositata in data 14 gennaio 2016, ha ribadito il principio secondo cui – in caso di risoluzione del concordato preventivo e di successiva dichiarazione di fallimento – debba essere applicato, per analogia con il concordato fallimentare, l’art. 140 comma 3 della L.F..

La citata sentenza di Cassazione ha sostanzialmente cassato una sentenza della corte di Appello che, nell’accogliere l’appello del fallimento avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale, riconosceva che, una volta risolto il concordato preventivo (cui la società era stata originariamente ammessa) e, conseguentemente, dichiarato il fallimento, taluni pagamenti effettuati in esecuzione della prima procedura non mantenevano in concreto la loro efficacia, dovendosi invero – accogliendo la domanda di restituzione – applicare l’art. 2033 c.c., in correlazione all’art. 140 della L.F. ed alla corrispondente eccezione di cui al comma 3.

In modo particolare la Corte di Appello affermava la violazione della par conditio creditorum per quanto attiene i pagamenti percepiti da una banca in corso di procedura quale creditore chirografo rispetto ad altri creditori di pari rango, ovvero privilegiati, a seguito della risoluzione del concordato e conseguente dichiarazione di fallimento; si trattava cioè di pagamenti effettuati con il concorso degli organi della procedura e non colpiti da altri rilievi di irregolarità, divenendo dunque essi, nella successiva apertura del fallimento, inefficaci ma non in quanto oggettivamente non dovuti, ma in quanto effettuati in violazione della par conditio creditorum.

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